L’esposizione, dedicata agli scatti fotografici di Paolo Sacchi, approfondisce l’attività svolta dal fotografo durante i dieci anni di Cross Festival.
Le quarantasei tavole in mostra mettono in luce il rapporto tra “fotografia” e “teatro”, …
L’esposizione, dedicata agli scatti fotografici di Paolo Sacchi, approfondisce l’attività svolta dal fotografo durante i dieci anni di Cross Festival.
Le quarantasei tavole in mostra mettono in luce il rapporto tra “fotografia” e “teatro”, quest’ultimo inteso nella sua accezione più generale di spettacolo drammaturgico, performativo, musicale.
“Fotografia” e “teatro” costituiscono due mondi di rappresentazione distinti ma, allo stesso tempo, strettamente confinanti. Si tratta di un terreno di ricerca che ritengo molto interessante in quanto riesce a stimolare e a sviluppare una riflessione profonda sulla fotografia a partire proprio da due elementi intrinseci che la caratterizzano: il tempo e lo spazio. Lo spettacolo si svolge di fronte a noi spettatori che assistiamo al progressivo realizzarsi nel corso della sua durata temporale. La fotografia, invece, si caratterizza per essere “un taglio”, cioè l’immobilizzazione di un istante prelevato al flusso del tempo e fissato su un supporto. Come il coreografo e il regista creano uno spazio e un tempo nuovi con il corpo degli attori e gli elementi scenici, così il fotografo crea un nuovo mondo di relazioni spazio-temporali all’interno del formato-immagine. Sia il teatro che la fotografia “inquadrano”, cioè separano attraverso una cornice, alcune scene del mondo, costruendo un nuovo e personale senso. A un’analisi superficiale, essi sembrano contraddirsi vicendevolmente: il teatro, che si consuma nel suo compiersi e si rinnova ad ogni rappresentazione, nella fotografia sembra abbandonare la sua natura transitoria per diventare memoria.
Gli scatti in esposizione, selezionati da un repertorio vasto e diversificato, mettono in luce l’attività meticolosa del fotografo. Paolo Sacchi intraprende in questo lavoro una vera e propria cross experience, una esperienza incrociata che ha come obiettivo la formulazione di un’immagine creata dall’intreccio, appunto, di due assi compositivi: quello che rappresenta la natura propria dello spettacolo (la fotografia come documento e testimonianza) e quello che incarna il punto di vista di chi progetta lo scatto (la fotografia come scelta di un momento, di un punto di vista, di un soggetto, di un’estetica). Naturalmente anche lo spettatore è una presenza fondamentale per la sua realizzazione. Non è un caso se, riferendoci al ruolo del pubblico prediligiamo il termine “assistere” a uno spettacolo, a quello di “guardare”, perché significa accompagnarlo nella durata del suo svolgimento. Sacchi realizza un prodotto artistico di valore poiché capace di inserirsi senza prevaricare proprio in quella complessa relazione comunicativa che si instaura tra attore e spettatore, senza rinunciare al proprio punto di vista critico e personale. Egli si focalizza su un gesto significante, su un’espressione del volto, sul linguaggio di un corpo, su un momento”alto” di un’azione valorizzando le relazioni esistenti tra i vari soggetti e lo spazio.
Le immagini conservano l’espressività e la potenza comunicativa proprie dello spettacolo, ma superano i limiti di una fotografia prettamente documentaria per offrire all’osservatore la possibilità di entrare a diretto contatto con le idee del regista e di strutturare un racconto per sintesi e accostamenti visuali.
Sacchi mi ha insegnato a guardare al fotografo di spettacolo come a una sorta di esploratore e di antropologo alla scoperta di un popolo composto da diverse etnie e governato da specifiche leggi. Nel tempo di questa scoperta egli conosce i luoghi più disparati: teatri, anfiteatri naturali, piazze, alberi, palazzi e coglie i linguaggi delle persone che li abitano descrivendo i momenti meno scontati e più significativi che grazie all’abilità tecnica riesce a valorizzare. Non a caso un grande fotografo di teatro, Maurizio Buscarino, così si esprimeva: «[…] nel teatro cercavo qualcosa che non nasceva per essere fotografato» (Maurizio Buscarino, La giornata libera di un fotografo, Pisa, Titivillus, 2006, p. 147). Che il teatro sia portatore di qualcosa che non si offre apertamente allo sguardo dello spettatore e del fotografo è un paradosso che la fotografia di spettacolo ci aiuta a scoprire.
Paolo Sacchi non ha nessun interesse a vivere la fotografia come un’arte della registrazione, né tanto meno come uno strumento di celebrazione. Per lui la foto di spettacolo non è un sostituto della presenza effimera dell’attore, ma l’inizio di un discorso, una scrittura segno-coreografica.
Il fotografo di spettacolo, attraverso la consapevolezza del valore dell’istante nella rappresentazione, ci guida in una comprensione privilegiata del senso della rappresentazione stessa.
Giulia Grassi
